Un interesse spiccato per il movimento in quanto tale, un approccio intellettuale al legame mente-corpo, una doppia natura di danzatrice e formatrice, una curiosità costante di continuare ad apprendere, ma anche di trovare nuovi modi per trasmettere.
Marta Melucci, che ad ArteffettoDanza organizza delle masterclass di danza contemporanea a cadenza mensile, è anche insegnante certicata Metodo Feldenkrais®, altro ambito che condiziona profondamente la qualità della sua danza e della sua didattica.
“Più danzi più sei ricco – dice Marta - ma per insegnare ci vuole anche una conoscenza del processo di apprendimento in sè, di quello che ti serve per passare le informazioni”.
La sua formazione, oltre alla danza classica e contemporanea, è passata attraverso molti contesti diversi quali la contact improvisation, lo yoga, il tip tap e la danza aerea. Il suo interesse antropologico anche nella descrizione del movimento, invece, è il lascito dei suoi studi umanistici: una laurea in filosofia, ma anche molti corsi di formazione in ambito pedagogico e sociale.
Marta ha danzato per diverse compagnie e ha avuto l’occasione di esibirsi in vari Paesi del mondo. Dal 2005 co-dirige la compagnia Schuko realizzando spettacoli, performance site-specific e opere multimediali che integrano danza, design e arti visive.
“Quando faccio il mio lavoro e quando ne parlo sento una grande spinta, mi sento nel posto giusto, mi piace nominare le diverse esperienze con le quali mi sono confrontata perchè credo che anche questa predisposizione al cambiamento, all’apertura sia un talento da sfruttare al massimo... Bisogna restare curiosi e sapere che qualsiasi contesto ti può portare a qualcosa di significativo, anche inaspettatamente”.
- Che cosa ti ha spinto a diventare insegnante?
Attorno agli anni dell’adolescenza si era concretizzata in me l’idea di approfondire la danza a livello professionale ma ancora non sapevo come. Poi, tramite un insegnante di yoga, ho avuto l’occasione di incontrare una maestra di danza che gestiva una scuola a Milano; ho cominciato a seguire le sue lezioni, a fare la sua assistente e poi a sostitutirla quando ce n’è stato bisogno. Per me però l’insegnamento non è mai stato un’alternativa alla parte performativa; ho sempre portato avanti entrambe le strade.
- Che ricordo hai delle tue prime lezioni da allieva?
Ho studiato in moltissimi contesti diversi e quindi è difficile fare un unico commento. In generale posso dire di aver avuto esperienze positive, ho incrociato insegnanti bravi e umanamente validi. Ho avuto l’opportunità di continuare a studiare sempre, non c’è una data in cui ho smesso, anzi più passa il tempo e più credo sia un privilegio avere questa possibilità. Ogni volta ti rimetti in gioco, ti regali input nuovi. Per esempio ho ripreso in tempi recenti lezioni di tip tap, una mia grande passione, e in questo contesto ho rivissuto la gioia di imparare per il gusto di imparare.
- Come sono state invece le tua prime lezioni da maestra?
Inizialmente erano più basate su un discorso di trasmissione delle sequenze, di cercare di mettere insieme esercizi sulla traccia di ciò che avevo visto fare dai miei insegnanti con un approccio mimetico. Poi, col passare degli anni, ti accorgi che questa è solo una parte del tutto, devi trovare una logica, una chiave comunicativa, degli strumenti per ottimizzare le capacità degli allievi che ti trovi di fronte. Quindi ho cercato una forma di autonomia anche nei metodi di insegnamento. Credo inoltre che ogni occasione di studio per sè sia anche un’opportunità per apprendere nuovi spunti su come insegnare. Ho avuto la possibilità tra l’altro di approfondire l’ambito pedagogico anche in altri contesti formativi e fa tutto parte di un mio bagaglio complessivo unico e importante.
- Anche i maestri possono imparare qualcosa dai propri allievi, sei d’accordo?
Sono molto d’accordo e mi interessa sempre più una modalità di scambio, non in senso metaforico... Mi piace utilizzare la forma come partenza per poi far scaturire dalle persone un lavoro un po’ personalizzato. Questo richiede ovviamente anche una certa flessibilità e una certa forma di “democrazia” da parte dell’insegnante. Lo stesso tipo di insegnamento deve essere modulato a seconda delle persone, molte cose possono essere riviste, e sicuramente mai reiterate nello stesso identico modo.
- Ci racconti qualche aneddoto particolare della tua esperienza sul palcoscenico?
Anche dal punto di vista performativo ho avuto un approccio molto variabile. Quello che mi tocca di più come attaccamento sono le esperienze fatte col mio gruppo Schuko. In particolare per la scelta del nome. Si tratta di un collettivo che si occupa di danza, con un approccio multimediale coinvolgendo le arti visive, il design ecc.
Ricordo che una volta siamo stati invitati ad un importante Festival a Parigi, all’epoca il nostro nome era Umpalumpa ProdAction. Doevevamo esibirci con una performance coreografica accompagnata da luci al neon che facevano parte di questo approccio tecnologico industriale che volevamo portare avanti. Bene, il giorno delle prove, nessuna delle prese funzionava con la nostra apparecchiatura, quindi siamo stati nel panico fino a cinque minuti prima di andare in scena, eravamo disperati. Poi i nostri magici tecnici sono riusciti a trovare degli adattatori ed è andato tutto per il meglio. Dopo questa esperienza abbiamo optato per Schuko, nome della presa tedesca acronimo di Schutz-Kontakt (letteralmente contatto sicuro) ma anche come concetto che rimanda anche alla produzione di energia attraverso il corpo. Ecco, noi avevamo deciso di lavorare con la tecnologia ma avevamo avuto evidenza del fatto che, se non attacchi la presa giusta, qualsiasi sistema, anche il più sofisticato, è inutile...
- Che consiglio daresti a chi vuole tentare di diventare ballerino/a?
A chi mi fa questa domanda risponderei con un’altra domanda, cioè innanzitutto vorrei capire un po’ a che punto è con la formazione, direi di studiare approfonditamente, di dedicare un periodo più o meno lungo ad uno studio intensivo della danza. Questo dà modo di capire se è la strada giusta, perchè, oltre alla parte performativa, ti deve appassionare molto anche il lavoro in sala che copre una percentuale importante della vita del danzatore. Quindi suggerirei i contesti di studio che ritengo più utili per approfondire questa necessità. Poi direi di guardare molta danza, di cercare di essere ben informati sullo scenario nazionale e internazionale, sulle condizioni di lavoro e, ovviamente, di fare molte audizioni, anche solo come esperienze di vita. In generale tendo ad essere molto ottimista, è un tipo di desiderio che va sostenuto.
- Qual è la cosa che ti è mancata di più del tuo lavoro durante il lockdown?
Il mio lavoro... io ho potuto tradurre online solo una parte di ciò che faccio, cioè il metodo Feldenkrais, ma per quanto riguarda le lezioni di danza contemporanea e i progetti performativi a cui stavo lavorando... completamente saltati... ho galleggiato diciamo.
È stato bello anche prendere parte al Videosaggio di Arteffetto lo scorso giugno per reimmettersi in qualche modo nella danza. Per me è stata un’esperienza molto positiva, ho ricevuto una risposta allegra, partecipe e creativa da parte dei miei allievi; ero scettica inizialmente per la dimensione a distanza e invece ho trovato una soluzione che mi è piaciuta e tutto il progetto in sè l’ho trovato ben fatto, importante e con un messaggio forte ed emozionante, mi ha intenerito moltissimo vedere allievi di ogni età impegnarsi così a fondo.
- C’è qualcosa a cui ti sei dedicata nel periodo del lockdown e che credi continuerai a fare in futuro?
Sì, la didattica online relativamente al metodo Feldenkrais appunto. Sicuramente continuerò ad utilizzarla per il momento storico che stiamo vivendo e anche per necessità personali, ma certamente per me la dimensione spaziale e di contatto ha una valenza insostituibile, soprattutto per la danza.
- Che progetti hai per il futuro e che consiglio ti senti di dare agli allievi di ArteffettoDanza?
L’intenzione è riprendere le fila di ciò che è rimasto congelato, riprogrammare le mie lezioni regolari con le masterclass ad Arteffetto e dei miei vari progetti formativi e performativi.
Un aspetto che cercherò di incrementare è l’outdoor. Credo che questo potrebbe essere un valore aggiunto anche perchè questa componente ambientale, la dimensione della danza urbana è un ambito che ho frequentato moltissimo, e credo che ora possa essere una grande risorsa, magari con qualche attività che preveda momenti indoor e momenti all’aria aperta.
In generale consiglio di venire a provare le lezioni, generalmente indirizzo queste masterclass a chi ha almeno un minimo di conoscenza di danza e teatro fisico; non sono delle lezioni base, però nel tempo mi sono accorta che persone che non arrivano dalla danza magari hanno molto altro da offrire, la contaminazione è interessante. Le consiglio soprattutto a chi vuole approfondire anche l’aspetto compositivo, a chi vuole capire quali sono gli elementi da prendere in considerazione quando ti muovi. Ci deve essere questa curiosità, non solo nell’ottica del ricevere ma anche nel gusto di mettersi in gioco per sperimentare, portando il proprio mondo nella lezione.
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