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Fri, 05/15/2020 - 20:16

Curiosa, poliedrica, aperta all'interdisciplinarietà e alla condivisione.

Daša Grgič, che ha presentato le proprie creazioni coreografiche sui palcoscenici di numerose kermesse internazionali, vede la danza come una ricerca continua che mescola diverse tecniche contemporanee e che porta in luce sempre qualcosa di nuovo, inaspettato e personale.

Daša, che ad ArteffettoDanza guida il corso Contemporary Intermediate, si è formata a Firenze con il corso biennale di insegnante della tecnica Nikolais, al Mousikè di Bologna con il Corso Nazionale per danzeducatori®, all’AED di Livorno con un corso di specializzazione per insegnanti di danza contemporanea e infine a Udine attraverso un percorso formativo tenuto dalla Compagnia Arearea.

La svolta del suo percorso artistico è arrivata grazie all'incontro con Carolyn Carlson che le ha donato una nuova visione della danza: un’idea del movimento da vivere in modo totalizzante, a livello fisico, mentale ed emotivo.

Tra le sue produzioni spiccano BodyunTitled, primo premio al 9° Festival Internazionale di danza SidebySide, e il più recente DIH.breath, primo premio al XVI Festival Internacional de Videodanzaba Buenos Aires.

Daša, che insegna in varie scuole triestine e slovene, nelle sue lezioni approfondisce tecnica, improvvisazione e composizione per arrivare ad una “danza consapevole”, anche imparando dai propri sbagli presunti.  “Negli errori può esserci fertilità, creatività… – dice Daša - Noi li scartiamo ed invece è lì che si innestano nuove soluzioni, strade inaspettate, prospettive che non avevamo immaginato...”

 

  • Che cosa ti ha spinto a diventare insegnante?
    È successo in modo molto naturale. Quando ho deciso di immergermi totalmente nella danza contemporanea come danzatrice, è stato automatico pensare di condividere quest’arte anche dal punto di vista educativo. Non riesco a pensare all’insegnamento e alla parte performativa come due compartimenti separati perchè interagiscono sempre e mi rendono completa nel lavoro che svolgo. Sono contenta di avere la possibilità di essere attiva su entrambi i fronti. Insegnare danza equivale a danzare da un certo punto di vista perchè è come quando danzi per un pubblico, è uno scambio tra il dare e il ricevere che avviene anche tra l’allievo e l’insegnante.
     
  • Che ricordo hai delle tue prime lezioni da allieva?
    La necessità di ballare era in me da sempre, ma quando ero piccola non c’erano molte opportunità a Trieste. Quindi mi tenevo attiva giocando a pallavolo e praticando tennis anche a livello agonistico. Poi un giorno, a 12 anni circa, ho cominciato le mie prime lezioni di danza moderna/musical. Ero entusiasta perchè all’epoca ero molto appassionata della serie tv “Fame” che trasmettevano in tv. All’epoca non c’era ancora Internet, quel tipo di atmosfera e di ambiente dello spettacolo era quasi fuori dalla realtà. Ma l’esperienza che ha cominciato a farmi capire che volevo dedicarmi totalmente alla danza, in particolare alla danza contemporanea, è stata la partecipazione ad uno spettacolo con il Teatro Stabile Sloveno, il primo approccio con una realtà innovativa e diversa rispetto a ciò che avevo visto fino a quel momento. E da lì, a circa 20 anni, è arrivato l’incontro e la lezione che mi ha cambiato nel profondo: una masterclass condotta da Carolyn Carlson a Venezia, da quel momento c'è stato questo forte impulso a proseguire gli studi di danza fino a farla diventare parte della mia vita.
     
  • Come sono state invece le tue prime lezioni da maestra?
    Ricordo che mi preparavo moltissimo per le prime lezioni e poi ciò che avevo preparato doveva essere rielaborato sul momento e riadattato alla classe. Educare è un po’ come la vita: ti sorprende quando meno te l’aspetti. Il metodo che propongo nelle mie lezioni abbraccia questo tipo di sorprese; anche la tecnica Nikolais che utilizzo molto non è una tecnica imposta. Il mio compito non è dettare delle regole, ma condividere la danza e instaurare un rapporto con gli allievi. Nikolais definisce la tecnica “l'insieme dei mezzi usati per giungere al fine desiderato” e per acquisire la consapevolezza del movimento. Chi studia con me non dovrebbe farlo nell’ottica di ripetere delle sequenze, ma attraverso le sequenze proposte, diventare consapevole di come nasce e si sviluppa il movimento, per vivere la danza nella sua interezza; mente, anima e corpo.
     
  • Ci racconti qualche aneddoto particolare della tua carriera da danzatrice?
    Due anni fa ero in Canada ad un festival di teatro perfomativo dove ho presentato il mio spettacolo intitolato BodyunTitled . Il pezzo è impegnativo: ho il viso coperto, non vedo granchè, la creatura protagonista della performance gioca di schiena con la giacca al contrario, e le direzioni sono fondamentali perchè lo snodo è la percezione visiva. Durante la mia seconda performance ad un certo punto ho perso il senso del fronte, ero girata verso il pubblico ma la coreografia prevedeva il contrario. Per me si trattava di un errore, continuavo a pensare che avevo sbagliato quel punto... Invece è accaduto qualcosa di davvero inaspettato. A fine spettacolo, il Direttore artistico del Festival - che aveva visto la performance anche la sera precedente - mi ha detto che quel punto esatto che io avevo bollato come errore, aveva creato una percezione visiva bellissima e migliore. L’errore è diventato un’occasione, una nuova possibilità interessante sulla percezione visiva.
     
  • A che cosa stai lavorando in questo periodo e come si svolge la tua giornata tipo?
    Mi sto dedicando ad un nuovo lavoro con un regista sloveno, cerco di rimanere attiva, ottimista e creativa. Conduco qualche lezione su Zoom, e sto portando avanti per quanto possibile un progetto online sulla danza contemporanea con gli allievi di Arteffetto. Certo, la tecnologia, con le sue infinite possibilità non potrà mai competere con il corpo vivo che respira e che si muove davanti ai tuoi occhi. Ma mantenersi vitali è fondamentale, quindi ho anche creato un video su questa fase insidiosa che stiamo vivendo e ho scoperto anche l’arte del montaggio. Poi ho avuto più tempo per la lettura, la cucina e ho aiutato i miei genitori con l’orto. Ovviamente ho avuto anche modo di riflettere su come dovremo reinventarci sia per quando si potrà tornare a scuola, sia per le modalità che dovremo adottare per risalire sul palcoscenico, non tralasciando le norme di sicurezza.
     
  • Qual è la cosa che ti manca di più del tuo lavoro in questo periodo di chiusura forzata?
    I corpi, il respiro, il contatto, la condivisione, la sensazione che provo ogni volta che finisco di insegnare.
     
  • Anche i maestri possono imparare qualcosa daI propri allievi, ti è mai capitato?
    Beh insegnare è condividere perchè mi metto in relazione con l’altro per seguire un percorso di crescita reciproca, noi impariamo ogni giorno da tutto e da tutti. Il nostro compito è far circolare un’energia positiva dove ognuno può raggiungere un progresso, raccontarsi attraverso il linguaggio della danza.
     
  • Che consiglio daresti a chi vuole tentare di far diventare la disciplina che insegni il suo lavoro?
    La danza dovrebbe diventare un modo di essere, di vivere. Bisogna essere curiosi, pazienti, coraggiosi, avere senso critico ma non giudicarsi. Ci vuole passione, impegno, costanza, determinazione. Bisogna nutrirsi di tutti gli aspetti della danza, di ciò che oggi rappresenta, aprirsi a diverse tecniche, stili, dove il corpo può diventare libero di raccontare ed esprimersi attraverso la danza. Rendersi conto che il mondo è pieno di ballerini quindi la convinzione deve essere molto forte e, all’interno di questo macrocosmo, bisogna ricercare e trovare una propria identità.
     
  • La danza, e più in generale il mondo della cultura e delle associazioni sportive e culturali, sta attraversando un periodo particolarmente complesso. Qual è la tua visione e quali sono le tue speranze per il prossimo futuro?
    Questo momento di crisi potrebbe essere una buona occasione per far sentire la voce della danza perchè molto era e rimane confuso, non definito; siamo sempre gli “ultimi” in ambito artistico. Vedo che qualcosa si sta muovendo nelle singole regioni per avere più rappresentanza, più visibilità per migliorare lo stato della cultura e dell’artista, per avere più chiarezza, più diritti. Deve essere considerato un lavoro a tutti gli effetti.  Bisogna spingere verso una maggiore creatività, ricerca, innovazione. Io spero che torneremo presto, con un maggiore senso di comunità e più responsabilità. Avremo davvero molta voglia di danzare tutti, e pur di danzare forse in qualche modo ci adatteremo anche a queste nuove regole.
     
  • Qual è la prima cosa alla quale vorresti dedicarti quando torneremo a scuola?
    Mi collego al progetto che sto portando avanti con gli allievi di Arteffetto. Quando ho mandato delle indicazioni via e-mail per creare dei video, ho notato grande attenzione, ma anche molte domande. Due lezioni a settimana con loro sono troppo poche. Mi piacerebbe riorganizzare il mio tempo magari con dei laboratori per affrontare alcuni argomenti specifici in maniera più approfondita.
     
  • Qual è il consiglio che ti senti di dare agli allievi di ArteffettoDanza in questa fase di lontananza dalla scuola?
    Vivere questo momento a pieno, sia nei lati negativi che positivi, non dare nulla per scontato. Tornare ad un maggiore senso di comunità, cercare di coltivare la danza attraverso l’esercizio, le classi online, workout in solitaria, qualche corsa, qualsiasi attività che sia utile per tenersi in forma. Magari anche avvicinarci a qualche cosa che ci dicevamo non avremmo mai fatto nella vita. A tutti vorrei dire restate attivi, riflessivi e soprattutto creativi perchè quando si è creativi si rimane vivi...

 

Foto credits: Foto 1, Yoshimi Yokoyama; Foto 2 e 3, Luca Quaia; Foto 4, Roberto Srelz; foto 5, Wiktor Bernatowicz

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